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martedì 27 gennaio 2015

02 Gennaio 2015

Sono passati più di due anni dal mio ultimo turno e sono un po’ agitata….
Arrivo in ospedale e trovo Pallina che si sta preparando e decido che l’unico modo di affrontare il turno è spegnere il cervello, aprire il cuore e lasciarsi trasportare. E così faccio, mi affido al mio fantastico tutor e via.
Davanti al reparto di dialisi incontriamo l’infermiera Silvia e ci fermiamo con lei a parlare un po’ di Gino. La sua scomparsa ci ha scossi un po’ tutti; Silvia ci racconta di essere andata al funerale o almeno di averci provato, ma che poi quando ha visto il carro e la bara no ce l’ha fatta e per questo è stata pesantemente criticata. Sentir parlare Silvia mi ha fatto pensare a cosa possa voler dire, per un infermiere di dialisi, un paziente che muore. Si vedono tre volte a settimana per anni; un paziente non è mai solo un numero per un infermiere ma in dialisi ancora di più, è quasi come fossero di famiglia, e perdere un familiare…..
Entriamo in reparto e lo attraversiamo tutto per arrivare nell’ultima stanza, a salutare Gino. C’è Omar di fianco a lui, un omone senegalese dalla pelle color ebano che con il sorriso sul viso e negli occhi, mi racconta di se, della sua famiglia lontana in Senegal che lui avrebbe voluto raggiungere prima che arrivasse la malattia. Sono 5 anni che è qui in Italia, lui con la sua laurea in scienze politiche che si ritrova saltuariamente a fare il venditore ambulante. Lui, che sa parlare cinque lingue e che quando è arrivato è andato a scuola per imparare l’italiano, lui che vorrebbe tornare all’università qui in Italia, ma che non se la può permettere perché costa troppo, ma chissà forse un giorno…. E tu li in piedi col tuo naso rosso che puoi fare quando non trovi le parole, perché forse non ci sono? Prendergli la mano, stringergliela forte e cercare di trasmettergli tutta la forza e tutta l’ammirazione che senti.
Abbiamo saltato la psichiatria, ci hanno detto che oggi non è il caso di andare. Ci rimango un po’ male perché per me sarebbe stata la prima volta in quel reparto, ma ci saranno altre occasioni.
E ora che si fa? La sala prelievi è vuota ma è troppo presto per andare via, c’è ancora un sacco di energia da distribuire…. Poi abbiamo un’illuminazione: fermiamoci nella sala d’aspetto dell’ortopedia; prima passandoci abbiamo visto un sacco di gente ad aspettare e sembravano tutti avere dei gran musi lunghi. Detto fatto! Arriviamo e iniziamo a parlare con le persone che aspettano, ritardo delle visite almeno 1h e 30 minuti; bastano 5 minuti e sembra di essere in piazza, tutti che interagiscono, si raccontano delle loro sventure e si lamentano dei loro mali. Quanto saremo rimaste? 30 minuti? Non lo so, ma quando ce ne andiamo siamo soddisfatte, l’aria è decisamente cambiata e questo non può che rendermi felice. Mi sento un po’ come Trilli, la fatina di Peter Pan, ho agitato un po’ le ali, la polvere di fata si è sparsa ovunque e le persone hanno iniziato a volare!
Mi incammino verso casa piena di energie, è questo l’effetto che mi fa un turno in ospedale, mi ricarica e fa si che io riesca a trovare la forza di fare ancora di più. Ripenso a ciò che dice sempre Nuvola dell’ospedale, un luogo magico, il solo posto al mondo dove vai perché non stai bene ed esci con una buona probabilità di essere guarito. Ecco, anche io oggi esco così, sentendomi guarita!
Un abbraccio forte a tutti quanti.
Primavera

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